SCARPE E PLANTARI NELLA GESTIONE DEGLI INFORTUNI NELLA CORSA
18/12/2021 - Scritto da: Dott. Tommaso Cusimano
La maggior parte degli infortuni dovuti alla corsa (circa l’80% secondo la comunità scientifica) si verificano quando cambiamo qualcosa nell’allenamento, come il volume della sessione (troppo come lunghezza), l’intensità della stessa (troppo forte) oppure il dislivello. È molto più facile dosare lo stress fisiologico terminando l’allenamento quando ci sentiamo stanchi rispetto a quantificare lo stress meccanico che riusciamo a tollerare. Oltre ai carichi e le sollecitazioni che superano le capacità di sopportazione del nostro corpo, vi sono anche fattori intrinseci e predisponenti (come un’alterata meccanica di un’articolazione del corpo o una debolezza dei nostri tessuti) ed estrinseci (come le scarpe, i plantari, i terreni, lo stress e l’alimentazione) che possono avere un impatto sulla probabilità di trauma nel restante 20%.
Doveroso fare un appunto sulle calzature. Negli ultimi anni l’industria delle scarpe da corsa ha portato a credere di aver bisogno di tecnologie di ammortizzazione e anti-pronazione per ridurre lo stress sul piede e sulle articolazioni, diminuire la probabilità di infortuni o addirittura ‘allineare i piedi’. Ad oggi non ci sono evidenze che supportano il ruolo di protezione e prevenzione da infortuni nella corsa di una scarpa più ammortizzata o che cerca di controllare la pronazione. Ma soprattutto il corridore che prona non rischia più di quello che non prona. Anche i plantari vengono sempre più prescritti pur non avendo grande evidenza scientifica per quanto riguarda la prevenzione da trauma nella corsa. La postura dinamica del piede, nel suo caso la pronazione, non cambia con o senza l’uso del plantare e questo non è in grado di correggere eventuali ‘disallineamenti’ di ginocchio e bacino. Discorso diverso è l’utilizzo del plantare come strumento terapeutico per trattare alcuni tipi di dolore al piede, come il dolore ai metatarsi, che invece è supportato da evidenze scientifiche ma costituisce un altro enorme capitolo non oggetto della sua domanda.
La scienza ci dice che scarpe diverse determinano tecniche di corsa diversa e mentre alcune scelte riguardo alla personalizzazione della calzatura appartengono al mondo del marketing (tecnologia anti-pronazione, neutra, supporto dell’arco plantare, suola ammortizzata in silicone) altre caratteristiche come il peso, la flessibilità, una suola con più o meno aderenza, il comfort e il drop sono invece importanti da valutare assieme a un venditore esperto e di rilievo nel migliorare le strategie di corsa rendendola leggera e meno impattante.
Senza entrare troppo nello specifico è importante sapere che le caratteristiche di un distretto come il piede (piatto, cavo, pronato o supinato) non sono fattori predisponenti all’infortunio del corridore.
Ogni caso merita una valutazione specifica e il suo, che presenta dolore da tempo, necessita prima del consulto di un fisioterapista specializzato in questo tipo di traumi. Se dovessimo generalizzare il consiglio che mi sento di dare ai runner è che la soluzione più duratura ed efficace per evitare infortuni è quella di sviluppare un corpo robusto e più tollerante esponendolo gradualmente ad un maggiore stress. Quindi correre spesso, almeno quattro volte a settimana (anche per brevi sessioni se a volte manca il tempo) è già di per sé una buona pratica per prevenire traumatismi da corsa, molto più che affidarci a tecnologie nelle calzature o ortesi che ormai contribuiscono sempre più a un concetto di ipermedicalizzazione.
Doveroso fare un appunto sulle calzature. Negli ultimi anni l’industria delle scarpe da corsa ha portato a credere di aver bisogno di tecnologie di ammortizzazione e anti-pronazione per ridurre lo stress sul piede e sulle articolazioni, diminuire la probabilità di infortuni o addirittura ‘allineare i piedi’. Ad oggi non ci sono evidenze che supportano il ruolo di protezione e prevenzione da infortuni nella corsa di una scarpa più ammortizzata o che cerca di controllare la pronazione. Ma soprattutto il corridore che prona non rischia più di quello che non prona. Anche i plantari vengono sempre più prescritti pur non avendo grande evidenza scientifica per quanto riguarda la prevenzione da trauma nella corsa. La postura dinamica del piede, nel suo caso la pronazione, non cambia con o senza l’uso del plantare e questo non è in grado di correggere eventuali ‘disallineamenti’ di ginocchio e bacino. Discorso diverso è l’utilizzo del plantare come strumento terapeutico per trattare alcuni tipi di dolore al piede, come il dolore ai metatarsi, che invece è supportato da evidenze scientifiche ma costituisce un altro enorme capitolo non oggetto della sua domanda.
La scienza ci dice che scarpe diverse determinano tecniche di corsa diversa e mentre alcune scelte riguardo alla personalizzazione della calzatura appartengono al mondo del marketing (tecnologia anti-pronazione, neutra, supporto dell’arco plantare, suola ammortizzata in silicone) altre caratteristiche come il peso, la flessibilità, una suola con più o meno aderenza, il comfort e il drop sono invece importanti da valutare assieme a un venditore esperto e di rilievo nel migliorare le strategie di corsa rendendola leggera e meno impattante.
Senza entrare troppo nello specifico è importante sapere che le caratteristiche di un distretto come il piede (piatto, cavo, pronato o supinato) non sono fattori predisponenti all’infortunio del corridore.
Ogni caso merita una valutazione specifica e il suo, che presenta dolore da tempo, necessita prima del consulto di un fisioterapista specializzato in questo tipo di traumi. Se dovessimo generalizzare il consiglio che mi sento di dare ai runner è che la soluzione più duratura ed efficace per evitare infortuni è quella di sviluppare un corpo robusto e più tollerante esponendolo gradualmente ad un maggiore stress. Quindi correre spesso, almeno quattro volte a settimana (anche per brevi sessioni se a volte manca il tempo) è già di per sé una buona pratica per prevenire traumatismi da corsa, molto più che affidarci a tecnologie nelle calzature o ortesi che ormai contribuiscono sempre più a un concetto di ipermedicalizzazione.